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Manovali, badanti e imprenditori. Ecco gli stranieri che lavorano in ItaliaGli stranieri che vivono stabilmente in Italia, a diverso titolo, sono cinque milioni, ossia l’8,2% dell’intera popolazione residente. Nei quattro anni compresi tra il 2007 e il 2011 si è registrato un aumento di ben 750mila lavoratori stranieri impiegati nei mestieri non più ambiti dagli italiani mentre c’è stata una perdita complessiva di un milione di posti di lavoro. E quindi è di circa il 10% dei lavoratori totali la percentuale di quelli di origine straniera. Uno dei settori nevralgici nei quali è più presente la forza lavoro straniera è quello di colf e badanti, con l’85% degli occupati, mentre sono il 10% dei totali gli infermieri immigrati. Accanto alle occupazioni più tradizionali si fanno strada anche attività più dinamiche, in settori a basso reddito in cui gli immigrati sanno di poter occupare spazi che gli italiani hanno lasciato vuoti (anche se negli ultimi tempi la crisi ha determinato un’inversione di tendenza, con molti italiani che accettano di tornare a lavori più umili che prima rifiutavano).
Sfiora ormai il mezzo milione di unità l’esercito delle attività guidate da cittadini stranieri. Nel 2012 questa fetta strutturale del tessuto piccolo-imprenditoriale italiano è cresciuta ad un ritmo del 5,8% pari a 24.329 imprese in più rispetto alla fine del 2011. Un contributo che si è rivelato determinante per mantenere in campo positivo il bilancio anagrafico di tutto il sistema imprenditoriale italiano (cresciuto, lo scorso anno, di sole 18.911 unità). Alla fine del 2012, le 477.519 imprese a guida di cittadini stranieri rappresentano pertanto il 7,8% del totale delle imprese, con punte superiori al 10% in due regioni - Toscana (11,3) e Liguria (10,1) – e in ben dodici province, tra cui spiccano Prato (23,6), Firenze (13,6) e Trieste (13,2). In termini percentuali, le attività guidate da immigrati sono presenti soprattutto nelle telecomunicazioni (dove sono il 34,9%), nella confezione di articoli di abbigliamento (il 24%) e nei lavori di costruzione specializzati (il 18,9%). Quanto alla provenienza degli imprenditori - per le imprese individuali - il Paese leader resta il Marocco, da cui provengono 58.555 titolari. Seguono la Cina (42.703) e l’Albania (30.475).
C’è poi una piccola fetta di imprenditori particolarmente brillanti che non solo ce la fanno ma diventano addirittura un traino del made in Italy all’estero o danno lavoro ad italiani che altrimenti non troverebbero altre occupazioni. È il volto degli imprenditori stranieri fotografato dal progetto realizzato lo scorso anno dal ministero del Lavoro e da Unioncamere per dare il via a nuove attività da parte degli immigrati in Italia che avessero il permesso di soggiorno. È il volto di una realtà molto dinamica, composta da giovani di età compresa fra 18 e 35 anni, con un’istruzione elevata, che nel 35% dei casi è di livello universitario, e proveniente generalmente dall’Africa, principalmente Senegal e Nigeria, o dall’America Latina, in particolare dal Perù. «La geografia dello sviluppo dei territori e del rilancio del Paese - avverte Ferruccio Dardanello, presidente di Unioncamere - passa anche per la valorizzazione di queste forze imprenditoriali». «Gli stranieri che ce la fanno - conferma Valeria Benvenuti, esperta di economia dell’immigrazione e ricercatrice della Fondazione Moressa - mettono a frutto le competenze dei loro Paesi d’origine unendola ad una grande capacità imprenditoriale e di trovare le risorse necessarie. Non è semplice per loro: gli istituti di credito tendono a concedere finanziamenti con più difficoltà». In qualche modo molti ce la fanno e sono i protagonisti di un boom che è innegabile. |